POGGIO CONTE

Il suggestivo eremo di Poggio Conte sul Fiora, opera realizzata dagli eremiti del X o XII secolo che per ultimi lo abitarono, non palesa affatto, a prima vista, il suo legame con il suo passato. Eppur basta volgergli uno sguardo un po’ più attento per scoprirne tracce!

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Furono presumibilmente gli etruschi a realizzare un luogo di culto nel sito, il territorio si ritiene appartenesse a Statonia, in passato rese una discreta necropoli in cui si rinvenne un bel carro da guerra etrusco in bronzo, sepolto con il principe ed il cavallo, ora presso il museo di Viterbo.

Rimaneggiato poi nel tempo, ma le attuali strutture architettoniche della chiesupola rupestre, in stile gotico, sono dovute senz’altro ai monaci benedettini francesi , così pure le immagini del Redentore e degli Apostoli (tali immagini furono staccate dalle pareti ed esportate in Svizzera, da alcuni buoni figli di mamma, recuperate in parte, ora si trovano al museo di Ischia di Castro).

Ma c’è un aspetto insolito, quasi incomprensibile dell’eremo: le pitture parietali realizzate sulla volta a crociera quadripartita, che non legano affatto con il contesto ecclesiale del tempio. Sembrano, queste, appartenere al mondo onirico, dei sogni o delle fantasticazioni umane notturne.

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Certamente resta controversa l’attribuzione, agli stessi monaci, della committenza delle pitture della volta con quelle degli apostoli e del Redentore, così diverse tra loro.

C’è poi il rosone sopra il portale, autentico calendario universale, che riflette un raggio di sole alle ore 12 degli equinozi annuali, dando esatta contezza della stagione che si va vivendo. E’, questo, chiaro segno di cognizioni scientifiche, un po’ strano per un luogo sacro.

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Il contesto ecclesiale - chiesuola rupestre, piccola canonica adiacente e vari anfratti abitativi nella roccia - realizzato sulle pareti a strapiombo sul Fiora, lasciano stupefatto il visitatore che mai avrebbe supposto di ritrovarsi in un angolo di paradiso

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CASTRO CAPITALE DEL DUCATO FARNESE

“Qui fu Castro”, l’infamante scritta sulle macerie in pietra della città, che volle lasciare chi ne aveva ordito la distruzione, a memento delle popolazioni ribelli dello Stato Pontificio, non la giustifichiamo affatto!

Le motivazioni addotte dalla “Chiesa” sulle vicende della Famiglia Farnese, non saranno mai sufficienti e valide per uno scempio del genere.

Principe del Ducato a quel tempo era, Ranuccio, “ultimo discendente” di quel nobile casato, non ancora maggiorenne, con una montagna di debiti accumulati in vari secoli dalla Famiglia Farnese, con l’emissione dei Monti Farnesiani, i cui proventi furono utilizzati, nella maggior parte, per l’altro loro Ducato di Parma e Piacenza!

Distruggere interamente un paese, e non già la residenza dei Principi soltanto, voleva dire punire comuni cittadini che lo abitavano. Poi non aver risparmiato le chiese, fu un oltraggio a se stessi, a Dio ed alla Chiesa!

Ciò che resta ancora di leggibile della Città, la grande piazza ove sorgeva la “Zecca”, l’Hostaria (grande albergo), il palazzo Ducale ed i ruderi dei palazzi dei maggiorenti. Mentre accantonati da una parte del foro, frammenti dello stemma farnesiano.

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Due delle chiese cittadine, San Savino e S.Maria into Civitatem, quest’ultima in discreto stato di conservazione, doveva essere la cattedrale, ha restituito l’immagine di due croci templari, sicuramente eseguite intorno al mille, quando Castro apparteneva agli Orsini. La zona era infarcita di Magioni dei Poveri Cavalieri di Cristo, avanti c’è Ripatonna Cicognina, la Consorteria di Valentano ed un’altra nella prossima Toscana.

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NASCITA DEL DUCATO DI CASTRO E SUA DISTRUZIONE. APPUNTI DI STORIA LOCALE.

(‘R.VANI’)

Viaggio nel tempo alla corte della Famiglia Farnese nella Meravigliosa Città di Castro e nel territorio del suo Ducato, sotto l’influsso della potente Famiglia Farnese che tutto fortemente volle e realizzò. Ne fu pensatrice, artefice, principe e vittima sacrale. Attraverso le gesta delle sue figure più rappresentative e portanti, quali Alessandro, Giulia, Odoardo e Ranuccio Farnese.

I FARNESE :

Presero il nome dall’antica ed omonima terra posta tra il lago di Bolsena ed Orvieto. Famiglia preclarissima come poche altre che, nell’Italia di quel tempo, le si possono eguagliare in ricchezza e dignità. Di origine longobarda affine ai potenti conti orvietani. La grande stirpe resse il ducato di Latera e Parma già intorno al 1500 andandosi ad estinguere, nel 1751, nella casa reale dei Borboni.

PIETRO

Nell XI secolo un certo Pietro, “Gran Capitano” e vincitore di molte guerre sotto il pontificato di Pasquale II, condottiero di cavalleria, ottiene per onori militari, in privilegio da re Lotario, il feudo di Farnese e di Ischia. Non è certo se la casa Farnese abbia preso il nome dal “castello”, allora detto Farneto forse per la gran quantità di farnie, specie di quercia che abbondava nella zona, oppure dal termine longobardo Fara, attribuito ad un gruppo di famiglie nobili.

DA PRUDENZIO AD ALESSANDRO

Prudenzio, figlio di Pietro, ricopre la carica di Console di Orvieto nel 1154. Nel 1158 sconfigge i fuoriusciti orvietani appoggiati dai ghibellini senesi. Un altro Pietro, in seguito, difende la città di Orvieto dall’assalto dell’imperatore Enrico IV. Altri personaggi noti in quel periodo furono Pepone di Pietro e Ranuccio, che risultano presenti alla Pace di Venezia del 1177, in qualità di rappresentanti della città di Orvieto. Nel 1254 un Ranuccio sconfisse le schiere di Todi e Papa Urbano IV lo prese al suo servizio contro Manfredi di Sicilia. Suo figlio Niccolò partecipò come comandante della cavalleria orvietana inquadrata con le truppe di Carlo I d’Angiò nella battaglia di Benevento. Nel 1302 monsignor Guido fu vescovo della città di Orvieto e fu lui a promuovere l’ampliamento del Duomo di Orvieto per conservare il corporale macchiato di sangue del miracolo di Bolsena. Un altro Pietro, ancora, fu comandante dell’esercito nella guerra del 1320-21 contro Corneto. In questo periodo la Famiglia riappare nella Tuscia prendendo possesso dei territori di Farnese e Ischia, dei castelli di Sala e San Savino, nei pressi di Tuscania. Nel 1354 tali Puccio, Pietro e Ranuccio, ottengono dal Papa i territori di Farnese e Valentano, già perduti. Nel 1368 Nicolò, dopo l’attacco del prefetto Giovanni di Vico, porta in salvo il Papa Urbano V nella Rocca di Viterbo e poi in quella di Montefiascone. Queste prove di fedeltà consentirono alla Famiglia di confermare il possesso dei territori posti sotto il proprio dominio. Si imparentano con le maggiori famiglie dell’epoca (gli Orsini, i Savelli, i Colonna, i Monaldeschi e gli Sforza).

Nel 1400 il territorio posto sotto la loro influenza è compreso tra il lago di Bolsena ed il mar tirreno. Nel 1434, al capitano Ranuccio, viene affidata la custodia della città di Viterbo. Il figlio Pier Luigi sposa Giovannella Gaetani, nel 1482 ottiene la cittadinanza viterbese, che comportò l’iscrizione al locale albo nobiliare. Da quell’unione nasce, il 10 novembre 1468 Alessandro, che sarà papa con il nome di Paolo III ed ancora, nel 1474 Giulia. Questa donna, dal fascino e dalla straordinaria bellezza, per cui verrà appellata dai contemporanei Giulia la bella, che tanto influirà sulla straordinaria ascesa della famiglia, estrapolandola dal rango di signoria provinciale ad una ribalta nobile europea.

ALESSANDRO FARNESE – PAPA PAOLO III

DEL SUO NEPOTISMO

Non v’è dubbio che il Ducato di Castro è stato costituito da Alessandro per esaltare la famiglia Farnese e per il grande amore che per lei nutriva, bramando di elevarla al rango delle più importanti casate sovrane europee. Cominciò col creare un piccolo Ducato, con capitale Castro e lo infeudò, nel 1537, a Pier Luigi (suo figlio) ed ai suoi discendenti. Vi aggiunse anche il governo perpetuo di Nepi e della contea di Ronciglione e Caprarola. Alessandro nacque a Canino il 10 novembre 1468, come anzidetto, era di mezzana statura, aveva gli occhi scintillanti, il naso lunghetto, una lunga barba e labbra un po’ eminenti. Fu un grande umanista, aveva studiato a Firenze nella famosa accademia di Lorenzo dei Medici, con un gran profitto e molto onore. Fu a Roma sotto la protezione di Rodrigo Borgia, il più autorevole cardinale della corte pontificia. Cadde in disgrazia del Papa Innocenzo VIII che lo fece arrestare e rinchiudere in Castel Sant’Angelo, da dove però riuscì a fuggire.

Morto Innocenzo VIII gli successe nel pontificato Rodrigo Borgia, che prese il nome di Alessandro VI. Alessandro Farnese, appena ventisettenne, ritornato a Roma, fu nominato dal nuovo papa protonotario e tesoriere della Chiesa ed il 20 settembre 1493, e poi fu creato cardinale. Si ritiene più per intercessione dell’amante del papa, Giulia Farnese, sorella di Alessandro, che per meriti personali, pur essendo dotato di grande mente. Venne per questo fatto chiamato, in Roma, “cardinal gonnella”. Prima di abbracciare la vita clericale sembra che sposò, in matrimonio segreto, una giovane della nobile casa dei Ruffini, dalla quale ebbe quattro figli. Pier Luigi, futuro duca di Castro, Costanza che va in sposa a Guido Ascanio Sforza, Paolo e Ranuccio, morti in tenera età.

Morta la moglie, il cardinal Farnese torna a Roma, legittimando i propri figli, prepara per essi un avvenire di grandezza e di felicità. Ottenne da Leone X la conferma dell’investitura dei castelli e delle terre di Canino, dell’Abbadia al Ponte, di Gradoli, Marta, Valentano, Latera. Piansano e Tessennano con unico e tenue censo di una tazza d’argento del valore di 12 fiorini d’oro. Inoltre dalla Camera Apostolica riceve l’investitura del feudo di Montalto fino alla quarta generazione, con il censo annuo di una tazza d’argento del peso di una libbra. Leone X gli riconosce, nel 1521, in vicariato perpetuo, a favore del proprio avo Ranuccio e del padre Pier Luigi, il castello di Caprarola, per 2000 ducati d’oro. “Dette” inoltre in moglie, a suo figlio Pier Luigi, Girolama Orsini, figlia di Ludovico, conte di Pitigliano, la quale ebbe in dote i castelli di Cellere e Pianana. Nel 1534 fu elevato al soglio pontificio, aveva allora 67 anni. Era stato per oltre quarant’anni cardinale.

Il 1° marzo 1537, faceva acquistare a Pier Luigi, da Lucrezia Colonna della Rovere, la città di Frascati che poi fu ceduta dai Farnese alla Camera apostolica in cambio di Castro e Grotte La stessa gli concesse poi Nepi e Caprarola ed il 31 ottobre dello stesso anno erigeva il ducato di Castro e Ronciglione, investendone il figlio ed il nipote Ottavio ed i discendenti primogeniti di questi, con piena signoria di comando ed ogni potere di spada e con diritto di battere moneta.

Il nuovo stato comprendeva; Castro, Ronciglione, Nepi, Montalto, Canino, Tessennano, Arlena, Cellere, Pianiana, Ischia, Valentano, Bisenzio, Capodimonte, Marta, Bolsena, Gradoli, Grotte, Badia al Ponte, Corchiano, Vignanello e Fabbrica.

A Paolo III gli venne sempre riconosciuta una grande mente politica, attribuita gran saggezza ed encomiabile zelo per il bene della religione ed il decoro della chiesa. Certamente esso non andò immune da gravi colpe: certamente per il suo eccessivo “nepotismo”, nominò cardinali due suoi nipoti di 14 e 16 anni. Impose oneri “da finanziaria” ai suoi sudditi. Demolì parte del Colosseo, per costruire con quel materiale, palazzo Farnese.

Indisse l’importantissimo Concilio di Trento, in un momento di particolare crisi del papato, impedendo lo scisma luterano. Fu amante e protettore delle scienze, delle lettere e delle arti belle e si circondò di uomini illustri. A proposito giova ricordare i versi dell’Ariosto:

“Ecco Alessandro, il mio signor Farnese. Oh! Dotta compagnia che seco mena! "

LA BELLA GIULIA

Prima di parlare del Ducato di Castro e della sua distruzione è opportuno prendere in esame un’altra persona, oltre Alessandro, che influì positivamente sull’ascesa della Famiglia nella ribalta internazionale. Giulia Farnese, nata a Canino nel 1474, da Pier Luigi Farnese e Giovannella Castani, i quali ebbero altri tre figli: Alessandro (il futuro papa Paolo III) Gerolama, ed Angelo.

Gli storici ricordano Giulia per la sua straordinaria bellezza, ma di questa sua avvenenza ne fu anche vittima. Di statura media, dalle forme proporzionate, la carnagione perlacea, grandi occhi neri ed una lunga capigliatura corvina. Fu proprio il suo fascino che dischiuse a lei ed alla sua famiglia le porte del potere e della ricchezza. All’età di tredici anni Giulia rimase orfana del padre. A quindici anni andò in moglie ad Orsino Orsini, della nota potente famiglia, soprannominato Monuculus Orsinus, perché orbo da un occhio. Inoltre aveva il volto devastato da una foruncolosi ed un aspetto sgradevole. Le nozze vennero celebrate, in Roma, nella dimora del cardinal Rodrigo Borgia, gia potente nel mondo ecclesiastico. La suocera di Giulia, Adriana de Mila, era cugina del Cardinale Borgia. A quel tempo la bella Giulia era già divenuta l’amante del potente cardinale, che ormai sessantenne, con quattro figli avuti dalla sua amante, tra cui la ben nota Lucrezia, sarebbe divenuto papa, di lì a poco. Rodrigo fece di tutto per avere sempre presso di se la giovane amante. La suocera di Giulia era cugina del papa e per far incontrare i due amanti ospitò i giovani nella propria casa romana. Il Borgia, accecato da quell’amore arrivò al punto di minacciare di scomunica Giulia se non si fosse più prestata al gioco. Si dice che la donna, inoltre, incontrasse l’anziano papa nel castello di Capodimonte, ove nel letto erano poste lenzuola di seta nera, per far risaltare la sua carnagione perlata.

I benefici di questa assurda relazione non tardarono a manifestarsi. Alessandro Farnese venne elevato alla porpora cardinalizia a soli 25 anni ed avviato verso una brillante carriera ecclesiastica, da cui anche gli altri componenti della Famiglia Farnese ne trassero grande vantaggio.

BOLLA CONCISTORIALE DEL 1537 - SULLA EREZIONE DEL DUCATO

“”Abbiamo con altre lettere concesso e dato al detto Pier Luigi giovine e Ottavio e suoi primogeniti nel modo infrascritto, et investiti li medesimi del detto ducato col pieno dominio temporale, e la suprema podestà anco del mero e misto imperio: e qualunque podestà chiamata del gladio e giurisdizione universale e l’esercizio di tutte queste cose et abbiamo fatti costituiti, creati, e deputati detti Pier Luigi et Ottavio e i suoi primogeniti Signori e Padroni della città di Castro e Nepi e dei castelli e terre e luoghi predetti in perpetuo ordinando che in avvenire le dette città, terre e luoghi con i suoi territori e distretti fossero incorporati nel detto ducato et che detto Pier Luigi, Ottavio e suoi primogeniti fossero Duchi di esso Ducato e per tali fossero stimati, nominati, avuti, e reputati da tutti gli altri, a cui pervenisse questo ducato, godessero, usassero, et esercitassero le ragioni, le insegne ducali, honori, libertà, favori, prerogative e preheminenze universe e dignità possanza, giurisdizione autorità, concessione a qualunque grado di supremo mero e misto imperio et tutte et ciaschedune facoltà anche di imporre nuove gabelle, dacio e di battere anco moneta d’oro come di argento ed anco qualsivoglia giurisdizione ed altre autorità, facoltà, podestà, ballie et altre prerogative, preheminenze, gratie, privilegi, indulti, immunità et esenzione delle quali altri ducati benché grandi e grandissimi così pontificii come imperiali di ragione e consuetudine, o privilegio, o in qualsivoglia altro modo e forma si servivano godessero, o qualsivoglia altro modo nell’avvenire.

Comodo alli diletti figlioli, priori et altri ufficiali della città di Castro e Nepi et altre Comunità, università et abitatori di detti Castelli, terre e luoghi et a tutti gli altri, a quali spetterà, che obbediscono al detto Pier Luigi, Ottavio e primogeniti discendenti come loro veri padroni in tutto e per tutto, com’hanno obbedito e dovevano obbedire all’altri Romani Pontefici et anco a noi, avanti la nostra assunzione.

E tutto ciò che in contrario sarà fatto da qualunque persona et anco per li Sommi Pontefici, che saranno per tempo con qualsivoglia autorità, dichiarano che sia di nessun valore.

Habbiamo commandato alli diletti figlioli Guido Ascanio Cardinale chiamato di S.Fiora nostro Camerlengo et alli suoi successori nel detto ufficio et alli Presidenti et Chierici di Camera che sono di presente e saranno per tempo che osservino inviolabilmente ciascuna delle predette cose, sotto pena della scomunica maggiore et altre sentenze e pene ecclesiastiche e privazione così dei beni temporali come dei benefici ecclesiastici e che facciano osservare li medesimi dall’altre persone sotto simili pene””


Con questo documento Paolo III, uomo estremamente intelligente, sanciva la costituzione del Ducato di Castro, prefissando prìncipi, princìpi, normative, disposizioni, leggi ed altro, nel vano tentativo di assicurare ai governanti, a seguire, in linea retta di primogenitura discendenti di suo figlio Pier Luigi, la proprietà e la potestà di questi, nel tempo, sul vasto territorio “accumulato”. Consapevole che la “Famiglia Farnese”, con la sua elezione al soglio pontificio, aveva raggiunto il culmine, il massimo traguardo cui una famiglia “provinciale” avesse potuto aspirare. Il possesso del Ducato di Castro, di Parma, di altre innumerevoli proprietà, di un palazzo, in Roma, considerato uno dei monumenti più significativi del rinascimento italiano – oggi sede dell’ambasciata francese. Consapevole inoltre che alla sua morte, tutte le ricchezze che aveva accumulato intorno alla famiglia, sarebbero state oggetto delle attenzioni e mire delle emergenti famiglie romane, che ruotavano attorno al papato. Non fu infatti sufficiente disporre con leggi, come vedremo, la salvaguardia dell’ingente patrimonio. Intelligente, colto, pur dall’alto del suo rango, circondato da uomini autorevoli ed illustri, era incorso in qualche errore di valutazione, che avanti sarà fatale, per i suoi discendenti, tra cui molti sprovveduti, e per tutte le proprietà che era riuscito ad assicurargli. Scarsa saggezza, cecità e presunzione, vari Farnese ne sfoggeranno a dismisura, accelerando anzitempo il declino della propria famiglia, secondo un processo innescato dai loro che li vedrà, stolti, avversi ed invisi alle varie famiglie emergenti del tempo.

E quell’immenso territorio vulcente, sottratto alle popolazioni etrusche dalla conquista romana, abbandonato al latifondo ma pietosamente ricoperto e nascosto lentamente dal calcare del Fiora, riportato ai prestigiosi fasti del loro miglior antico tempo con la istituzione del Ducato e la costruzione della meravigliosa città di Castro su antiche vestigia (Statonia), precipiterà di nuovo in un oblio millenario.

Castro viene eretta sulla riva destra del corso finale del fiume Olpeta, poco prima che questi si immetta nel Fiora, su preesistenti costruzioni Villanoviane, etrusche e medievali. Paolo III, affida l’incarico della ristrutturazione delle emergenze al Vignola ed all’arch. Antonio da San Gallo il giovane. Quest’ultimo imposta costruzioni di edifici rinascimentali elaborando un nuovo assetto urbanistico. Nella piazza maggiore verrà concentrato il punto focale di rappresentanza della città. Progettati e realizzati il palazzo Ducale (simile a palazzo Farnese in Roma), l’Hostaria, la Zecca, palazzi privati ed il convento di S. Francesco, come puntualmente ci ricorda il Vasari. Restaura inoltre il Duomo di S. Savino e progetta la fortificazione della città e la doppia porta Lamberta, dotata di tre fornici ciascuna.

DISTRUZIONE E FINE DEL DUCATO DI CASTRO

Deceduto Paolo III, il 10 novembre 1549, i suoi eredi, perse le giuste coperture politiche necessarie a gestire i loro affari più o meno leciti e loschi, subiranno, come anzidetto rivendiche da più parti. In particolare l’ambizioso Pier Luigi, già Duca di Castro, poste le mani sul Ducato di Parma e Piacenza, nel 1547, dopo un ennesimo esempio di mal governo, viene ucciso a pugnalate in Piacenza. La storia inoltre ci tramanda che attraverso i Monti Farnesiani, il Duca raccoglieva danaro in Roma e provincia, dirottandolo sui propri affari brigati nel ducato di Parma e Piacenza, accumulando montagne di debiti che non verranno mai più onorati.

Il 12 settembre 1646 il Duca di Castro Odoardo Farnese muore a soli 34 anni. Gli succede il figlio Ranuccio II, ma l'eredità principale lasciatagli erano i debiti che la reggenza della madre Margherita de' Medici, avendo Ranuccio, a quel tempo, soltanto 16 anni, non seppe né poté contenere. Alla morte di Urbano VIII gli era succeduto G. Battista Panfili, che prese il nome di Innocenzo X, il quale prese subito posizione contro i Farnese, spinto dall'influenza forse del Cardinale Pancirolli, segretario di Stato, ma soprattutto da quella di Olimpia Maidalchini, sposa di Panfilo Panfili, suo fratello maggiore. Donna Olimpia, nativa di Acquapendente, aveva un ascendente sul Pontefice e spadroneggiava a Roma temuta da tutti. Le motivazioni dell’astio di questa donna, nei confronti dei Farnese, affondano le radici nel passato. Paolo III, quando costituì il Ducato, spostò il vescovado da Acquapendente a Castro. Questo particolare non piacque agli “acquesini” e, tra la due città, ne nacque una controversia. La donna attendeva dunque un'occasione qualsiasi per riaccendere le ostilità ed il pretesto non tardò a presentarsi. Sorsero numerose controversie tra Ranuccio ed i suoi creditori per l'interesse dei "monti" che non venivano pagati a scadenza. In tale situazione il duca fu invitato, dall’autorità pontificia, a passare sotto il governo centrale il ducato di Castro. A quel tempo, il debito dei Farnese, verso i “Montisti”, ammontava a 1.291.700 scudi con frutti. Ma Ranuccio non fece che tergiversare con i propositori occupandosi soltanto, nel fondato timore di un'imminente invasione, di fortificare il Ducato.

Nel 1648 morì il Vescovo di Castro, Mons. Alberto Giunti, ed il papa Innocenzo X, gli nominò, quale successore il barnabita Cristoforo Giarda, ma Ranuccio strepitò perché la nomina era avvenuta senza il suo beneplacito e perché voleva che il Vescovo fosse persona a lui gradita e dispose quindi che il neo eletto non fosse fatto entrare in Castro.

Intanto il povero Giarda, solito vaso di coccio fra quelli di ferro, rimaneva in Roma nell’attesa che in alto decidessero le loro beghe. Però il papa non potendo ammettere l'interferenza di un principe secolare negli affari della chiesa, ordinò al Giarda di raggiungere senz'altro la sua sede e qualora non fosse ricevuto, di trasferirsi ad Acquapendente. Questo brigava la Maidalchini perché, tanto per dare uno smacco ai Farnese, la sede del Vescovado di Castro, fosse riportata ad Acquapendente, sua patria.

Il Vescovo partì da Roma il 18 marzo 1649 per la via di Ronciglione-Viterbo, ma giunto nelle vicinanze di Monterosi fu fermato ed assassinato da due sicari del Duca Ranuccio che lo attendevano in agguato.

In seguito a tale delitto, papa Innocenzo ordinò a Giulio Spinola, governatore di Viterbo, d'istruire un processo onde scoprire i colpevoli ed i complici dell'assassinio e ne risultò che i sicari avessero agito per ordine del marchese Gaufrido, ministro del duca Ranuccio. Accertata in tal guisa la grave responsabilità della corte di Parma, il 19 giugno 1649 le armi pontificie invasero il Ducato di Castro al comando del marchese David Widnam, Girolamo Gabrielli e del Commissario Santacroce, quindi per vie diverse marciarono su Castro, stringendola d'assedio. Per la città di Castro comincio l'agonia: incominciarono a scarseggiare le vettovaglie; il numero dei feriti e dei malati aumentò ogni giorno e, gli attesi rinforzi del duca non giunsero. La situazione divenne insostenibile. Il 2 settembre 1649 l'Asinelli, per il Ducato di Castro, ed il comandante delle truppe pontificie, David Widnam firmano l'atto di capitolazione, "Castro caduto" si era consegnato al nemico. Contrariamente agli accordi di resa, Innocenzo X ordinò la demolizione della capitale della maremma e, agli ultimi di novembre, di essa non rimanevano che ammassate rovine. Tutto era raso al suolo, le opere pregevoli del Sangallo e quelle del Vignola, le chiese ed i conventi, la zecca ed il castello, palazzi ed umili abitazioni, tutto era stato abbattuto e distrutto.

"QUI FU CASTRO"

questo il ricordo lasciato su una colonna infamante, elevata dai suoi demolitori sulle sue rovine. Con la distruzione di Castro il ducato passò sotto l'amministrazione della Camera apostolica ed il suo territorio, già dimenticato teatro storico della Vulci Etrusca, subì un profondo e lungo isolamento, che, sotto certi versi, per sua fortuna, si è protratto fino al nostro secolo.


Termina qui la trattazione degli argomenti approntati su Castro, per il nostro sito. Piuttosto sunteggiati, rispetto alle complete e reali vicende verificatesi. Alcuni episodi, ritenuti di secondo piano, sono stati addirittura omessi. Si invita pertanto, chi volesse approfondire l’argomento, a reperire i vari volumi, specifici, in vendita presso il museo di Ischia di Castro o presso fornite librerie.

Ma ciò che non si può omettere, perché non di facile reperimento, e perché molto significativo, è un breve accenno a quello che fu la vita di Donna Olimpia Maidalchini, prima detta la “Pimpa”, poi “Pimpaccia” ed infine la “Papessa”.

Lo stereotipo di questo personaggio cinquecentesco risulta più attuale che mai, come più attuale che mai deve ritenersi l’atteggiamento nepotistico di Paolo III.

UN GIUBILEO TUTTO “VITERBESE”

"L’anno santo 1650 fu gestito da donna Olimpia Maidalchini Pamphili, cognata di Innocenzo X: l'impronta della Pimpaccia s'estese anche sui benefici largiti alle confraternite."

di Umberto G.Ricci

Il quattordicesimo anno santo della storia, quello del 1650, fu intriso di “viterbesità” in quanto ad organizzarlo e a reggerne le fila fu Olimpia Maidalchini Pamphili, nata a Viterbo nel 1592, cognata di Papa Innocenzo X ed uno dei personaggi più tristemente famosi del XVII secolo. La Famiglia Maidalchini era originaria di Acquapendente, dove il padre di Olimpia esercitava l’ingrata mansione di agente fiscale dello Stato Pontificio. E nella città di Viterbo, la bella Olimpia, andò in sposa a soli 18 anni, ad un giovane viterbese, tal Paolo Nini, nella chiesa di S.Sisto. Rimasta vedova e scelta Roma, come sua residenza, la scaltra donna si maritò con il nobile Panfilo Pamphili, fratello maggiore del Cardinale Giovanni Battista, che il 15 settembre 1644, sarà eletto papa con il nome di Innocenzo X. Sul ruolo che donna Olimpia ebbe nel Giubileo del 1650, ne abbiamo una esauriente descrizione dallo storico Sergio Valentini.

“Una donna arbitro del giubileo – scrive Valentini – la Viterbese Olimpia Pamphili, cognata di Innocenzo X, soprannominata il cardinal Padrone, fu ingorda e vendicativa: padrona assoluta dell’anno santo 1650.

Innocenzo X, che aveva fama di uomo freddo, amante della giustizia e dell’ordine, vendicativo (basti ricordare la distruzione della città di Castro), aveva fiducia in una sola persona: la cognata donna Olimpia. L’aveva arricchita di prebende e sontuose dimore ed inoltre aveva eretto per lei il principato di San Martino al Cimino. E a Lei affidò il Giubileo del 1650, indetto il 4 maggio dell’anno precedente con la bolla “appropinquat dilectissimi filii”. Olimpia, ormai cinquantottenne, esercitò un potere assoluto su tutti gli affari dello Stato pontificio, fino al punto di essere considerata l’unico papa donna della storia. L’Anno Santo lo pilotò a suo piacimento anche attraverso tre cardinali suoi congiunti, il figlio Camillo e i nipoti Francesco Maidalchini e Camillo Astalli. Fra le confraternite che sfilarono durante l’anno giubilare, quella che grazie ad Olimpia ebbe i maggiori benefici materiali e spirituali fu la compagnia degli Eremiti di Viterbo vincolati dal Silenzio. Fra i soprusi perpetrati dalla “papessa” ci fu l’asportazione di una spalla del corpo di S. Francesca Romana, che poi inviò alla chiesa del suo principato di San Martino al Cimino. Fu in questa occasione che Pasquino appioppò a donna Olimpia il soprannome con cui entrò nella storia “La Pimpaccia di Piazza Navona”. Durante l’anno santo le prostitute si misero sotto la protezione di donna Olimpia la quale con un editto sentenziava “Che vadino in carrozza senza riguardo alcuno, come se fossero honorate”. L’idropisia portò a morte Innocenzo X il 7 gennaio 1655. Durante la sua agonia, la cognata provvide a spogliarlo di tutto. Scacciata dal nuovo pontefice Alessandro VII Chigi, donna Olimpia riparò nel castello d San Martino al Cimino, dove morì di peste il 24 settembre 1657.

Ancora oggi, come scrive Sergio Valentini, qualcuno vede, nelle notti di tempesta, una carrozza nera a Villa Pamphili. E’ la carrozza di donna Olimpia. Nel frastuono delle ruote tintinnano le due casse piene di monete d’oro che sottrasse sotto il letto del Papa morente.

Vani 29 XII 2007


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